Francesca Albanese, durante una lunga intervista, ha raccontato fra le tante cose, anche delle minacce subite in questo periodo.
In occasione dell’uscita del suo libro “Inside” in uscita proprio durante questo mese, Francesca Albanese ha rilasciato numerose dichiarazioni. La relatrice dell’Onu per i diritti umani in Palestina era già finita al centro dei riflettori per via di una denuncia effettuata qualche settimana fa. Adesso, la relatrice è tornata su tale argomento e soffermandosi poi anche su numerosi altri temi. Fra tutti, le minacce subite e indirizzate sia a lei che a sua figlia. Si è inoltre parlato di sanzioni, della Palestina e dei leader israeliani da lei stimati.

Le parole dell’inviata Onu
Open ha riportato un’intervista rilasciata al Corriere della Sera e condotta da Francesco Battistini, durante la quale Francesca Albanese ha parlato dell’utilizzo corretto del termine “genocidio” dichiarando ciò: “Il problema è proprio la scelta delle parole che si usano. Dopo tre anni in Palestina, sono andata via nauseata. Non riuscivo più a vivere in quel posto. Ed è l’apartheid a spiegare oggi, dal punto di vista giuridico, quel mio sentimento d’allora: c’è un sistema strutturale di dominio da parte di un gruppo su un altro. Lo stesso vale per il genocidio. Non c’è tregua che possa interromperlo. E il problema non è usare parole “compromesse”: è di chi non guarda la realtà“.
Particolarmente forti sono state le rivelazioni riguardanti le minacce subite: “La pressione è molto forte. Nel 2024, sono cominciate le minacce di morte, lettere in cui dicevano “sappiamo dove vivi”, minacce di stupro verso mia figlia: “Le faremo quel che han fatto alle donne israeliane”. Lì, è partita l’esigenza d’avere protezione dove vivo, in Tunisia“.
Il lavoro svolto dalla Albanese ha portato con sè numerose implicazioni. Non solo per via delle minacce subite, ma anche per via delle sanzioni ricevute e dei suoi beni congelati.
La Albanese sulla Palestina e suoi sionisti
Riguardo la Palestina, la relatrice Onu ha dichiarato: “L’enormità di ciò che è successo è tale, che non si può tornare indietro. S’è svegliata una coscienza, soprattutto fra i giovani. Mi occupo di Palestina da 15 anni e mai ho visto questo livello di maturità: sul genocidio in Ruanda o in Bosnia, non ci fu questa presa di coscienza. Il fatto che uno come Mamdani vinca a New York, peraltro coi voti ebraici, è un segno di cambiamento. Però dipende. I governi potrebbero continuare a far finta di niente. Parlano di pace, ma dall’inizio della cosiddetta tregua sono morti 250 palestinesi“.
Alla domanda svolta dal giornalista Battistini, sull’esistenza o meno di un leader israeliano che lei possa apprezzare, l’intervistata ha risposto: “Rabin è stato feroce nei confronti dei palestinesi e poi ha capito che non si può vivere opprimendo il prossimo. So che tanti israeliani sionisti vogliono la fine dell’occupazione e dell’apartheid. Il problema del sionista è che per lui il problema è al massimo l’occupazione del ’67 e com’è degenerata. Per un antisionista, il problema è l’esistenza d’Israele come Stato di apartheid all’interno di un Paese che si chiamava Palestina“.